Considerando che il Movimento per la Decrescita Felice ha instaurato una collaborazione con il Comitato di difesa dei Beni comuni e volevo saperne di più, sabato 18 maggio sono stato al convegno organizzato a Mira (VE) dall’Associazione Mira2030 dal titolo “Beni comuni e pubblici – rimettiamo al centro la comunità”. L’associazione, attiva nei temi della sostenibilità e degli stili di vita nella Riviera del Brenta, si sta infatti impegnando nella difesa dei beni comuni.
Partecipavano al convegno, moderato dal giornalista ed attivista Paolo Cacciari, Ugo Mattei, professore universitario e Presidente del Comitato Popolare di Difesa dei Beni Pubblici e Comuni Stefano Rodotà, Maria Rosa Pavanello, Sindaca e Presidente di ANCI Veneto e Andrea Cereser, sindaco di San Dona’ di Piave (VE) e coordinatore regionale di Avviso Pubblico.
Il tema del convegno era di attualità perché si stanno raccogliendo le firme per promuovere una proposta di legge di iniziativa popolare che vuole modificare il nostro ordinamento inserendo, tra i tipi di beni riconosciuti dal codice civile, la categoria dei beni comuni e la loro tutela.
Ugo Mattei è intervenuto ricordando come l’apparato giuridico oggi esistente è sostanzialmente lo stesso che negli ultimi quattro secoli ha sostenuto la trasformazione dei beni comuni in capitale economico finanziario. In un tempo in cui l’ambiente era bene comune e ciascuno poteva disporre di acqua, legna e altre risorse naturali secondo le proprie necessità era utile allo sviluppo delle imprese e dell’economia creare un presupposto normativo strutturale che potesse favorire la trasformazione di tali beni comuni nel capitale necessario. In questo contesto si è rafforzato l’approccio proprietario degli Stati che, similmente a come fanno i singoli individui, possono vendere i propri beni per acquisire capitale.
Il sistema ha funzionato benissimo tanto che oggi abbiamo una sovrabbondanza di capitale e una grande scarsità di beni comuni: la ricchezza finanziaria del mondo è superiore in valore ai beni esistenti sulla terra e abbiamo invece, per molti, scarsità di aria pulita, abitazioni, salute, relazioni di aiuto, beni culturali, ecc.
Nonostante questa situazione, il sistema giuridico non è cambiato e continua il processo di dismissione dei beni pubblici spesso giustificato dalla necessità di far fronte ad un debito pubblico che costa circa 70 miliardi di euro l’anno di soli interessi. Quindi nonostante le condizioni siano completamente diverse che nel 1600, oggi continua il processo di traslazione dai beni pubblici al capitale finanziario.
I beni pubblici o demaniali, prosegue Mattei, non sono infatti particolarmente tutelati nel nostro ordinamento potendo essere facilmente sdemanializzati e alienati ed in questo modo resi indisponibili per il futuro. Per garantire che i beni funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali siano ancora disponibili per le generazioni future serve invece una diversa e maggiore tutela.
Il Comitato è nato per sostenere la proposta di legge che ricalca il disegno di legge definito nel 2007 dalla Commissione ministeriale Rodotà che non è mai stato discusso in parlamento.
Assieme alla richiesta che il parlamento discuta la legge, i promotori vogliono creare una organizzazione che sostenga lo sviluppo e la diffusione dei beni comuni in Italia. Non è sufficiente affidarsi ai movimenti che, dice Mattei, di solito si sfaldano con l’arrivo dell’estate, e pertanto si propone la costituzione della Cooperativa di mutuo soccorso intergenerazionale ad azionariato diffuso “Delfino” che vuole essere uno strumento non partitico attraverso il quale i cittadini possono sostenere queste battaglie in maniera duratura.
L’incontro si è poi focalizzato, anche grazie agli interventi dei sindaci presenti, sui patti di collaborazione e sui regolamenti che alcuni comuni hanno proposto e stanno sviluppando. I patti di collaborazione, promossi in particolare dal comune di Bologna, sono accordi tra amministrazione e cittadini che mettono a disposizione, a titolo spontaneo, volontario e gratuito, energie, risorse e competenze a favore della comunità. Ad esempio, un cittadino può mettere a disposizione un suo terreno oppure dichiararsi disponibile ad aiutare la comunità alcune ore a settimana.
Ogni Comune può adottare specifici regolamenti per promuovere questa collaborazione ma la mancanza della previsione dei beni comuni in atti normativi di rango primario, le leggi, dice Maria Rosa Pavanello, rende diffidenti i Dirigenti delle amministrazioni e mette a rischio gli amministratori che potrebbero rispondere in proprio nel caso in cui fosse rilevato un anno erariale, ad esempio perché si rende disponibile un bene pubblico alla cittadinanza senza chiedere il pagamento di un contributo. Servono quindi esempi di amministrazioni coraggiose e pionieristiche per poter consentire anche alle altre di adottare le proprie disposizioni in tema. Ritiene comunque che il tema sia tanto importante da poter essere oggetto di specifici interventi formativi per gli amministratori comunali.
Su questo Mattei ha indicato che esistono regolamenti di più recente generazione come quello in approvazione a Torino che contengono i tre elementi dei patti di condivisione, degli usi civici e della fondazione bene comune (come quella del Teatro Valle occupato).
Ovviamente, i comuni lamentano che già la gestione dei beni pubblici attualmente di loro proprietà è difficile a fronte della diminuzione delle risorse che ha interessato i loro bilanci negli ultimi 10 anni, quindi chiedono una specifica attenzione alla sostenibilità economica della gestione dei beni comuni.
Gli interventi sono stati molto interessanti ed hanno denotato un grande buonsenso sia dal punto di vista della proposta politica che sostiene la proposta di legge, sia da quello dell’amministrazione dei municipi.
Ora tocca a tutti noi dare continuità al movimento sorto attorno al referendum contro la privatizzazione dell’acqua del 2011 sottoscrivendo la proposta di legge per la quale c’è tempo fino a luglio e iscrivendosi a Delfino.
Maggiori informazioni sul sito https://generazionifuture.org/